La psicologia a scuola

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Nasce molto tempo fa questa idea: far fluire se stessi in un contesto che ci vede partecipanti per lungo tempo, ogni giorno. 
Si può vivere il tempo scuola passivamente, “scaldando la sedia”, appoggiandosi al banco, guardando fuori dalla finestra, distraendo se stessi e/o i compagni.

Oppure…

Si può vivere il tempo scuola con un ascolto attivo, curioso, anche critico se necessario, per portare la propria voce, opinioni, altri punti di vista.
Succede così anche nella famiglia, no? La vita familiare può essere vissuta con consapevolezza di essere ascoltati e accettati, oppure con disarmo intellettivo, appiattimento emotivo, portandosi a vivere seguendo ordini e comandi, oppure diventando un trasgressore, ottenendo punizioni o limiti continui, da disobbedire nuovamente, come in un circolo vizioso

La scuola diventa una seconda famiglia, un luogo dove imbattersi in Altri modi di parlare o di pensare o di condividere spazi e tempi con persone che diventano abitudine, amicizie o relazioni conflittuali.

Quando un bambino chiama “mamma” la propria maestra non è un errore mnemonico o una svista attentiva, forse è più vicino a un lapsus questo modo di chiamare la persona che dedica molto tempo e affetto a noi, avvicinandosi a una relazione “primaria”. Si tratta di buoni segnali di maturità affettiva del bambino: la capacità di affidarsi a qualcuno, di affezionarsi, di saper vivere anche in autonomia rispetto alla famiglia, di forza ed equilibrio.

Quando un adolescente cita un suo insegnante (il “prof”), portando le sue considerazioni, le sue parole nei dialoghi familiari, a cena o per controbattere un argomento di discussione intavolato con un genitore, sta crescendo, sta “adolescendo”, compie i primi passi di autonomia comunicativa, distaccandosi talvolta dal pensiero familiare. Anche in questo caso è un buon segnale di indipendenza, o di ricerca di essa, di sperimentazione in un ambiente protetto (la famiglia) di quanto ci si possa scontrare, o appassionare a un dibattito, o semplicemente a far conoscere nuove idee o ideali ai propri genitori.

Gli educatori che si prendono cura dei nostri figli lo fanno con molteplici intenti, quello didattico, rivolto al sapere, al far apprendere, certo, ma anche quello affettivo, relazionale, di radici comuni a quello genitoriale. Sono “genitori” di una classe intera e si rivolgono ai loro “figli” con modalità uniche e di impareggiabile importanza.

Atti di ribellione comunicativa e comportamentale potranno verificarsi anche a scuola, per lo stesso meccanismo di ricerca di autonomia citato prima. Ci si discosta dal familiare (gli insegnanti) per avventurarsi nella libera espressione del sé. Di tanto in tanto gli atti di ribellione in classe sfoceranno in note disciplinari, in riunioni straordinarie, dove saranno coinvolti anche i genitori, per trarne le radici relazionali, per aiutare i bambini o i ragazzi a crescere, in un sistema allargato famiglia/scuola che trae forza dalla sinergia delle parti.

Dal rapporto con i propri insegnanti si plasmano, inoltre, i rapporti adulti formali, nel lavoro, nella professione.

Il potere di un buon fluire comunicativo all’interno delle classi aiuta sicuramente la crescita di una sana identità, di una ricca autostima e lo sviluppo delle proprie potenzialità.

Un interessante intervento (Aprile 2023) del dott. Crepet  riguardava proprio il ruolo degli insegnanti,  veniva paragonato a quello del “talent scout”, riferendosi all’importanza di assumere una curiosità di fronte agli individui bambini o adolescenti di cui ci si sta occupando. Uso non a caso la parola curiosità per indicare l’atteggiamento di profondo interesse verso qualcuno, libero da giudizi.

Trovare i talenti e le propensioni degli studenti e aiutarli a utilizzarli al meglio è un ottimo indicatore di successo per l’ avvio della motivazione e del conseguente impegno a ottenere dei risultati affini alle proprie capacità.

Un lavoro incrociato, mescolato, in percorsi condivisi, tra insegnanti e psicologi aiuta bambini e ragazzi a sviluppare intenti personali concreti e tangibili, avvia all’autonomia del pensiero e al desiderio di sentirsi accettati, per quello che si è capaci di fare.

Unire gli sforzi dei singoli in modo cooperativo aiuta a capire l’importanza del gruppo e a sperimentare vari ruoli di azione e di condivisione.

Ci sono molte sfaccettature della psicologia a scuola, una riguarda senz’altro l’ apertura a cercare spazi di dialogo e di confronto su di sé, maturando la consapevolezza che si è in parte artefici del proprio destino e quindi piccoli problem solver di fronte alle avversità della vita.

Accogliere il lavoro psicologico nella scuola apre sicuramente molteplici possibilità di crescita personale o di gruppo, per gli alunni, per gli insegnanti, per i genitori.


Dott.ssa Eva Bassanese
Psicologa Psicoterapeuta a Venezia Mestre (VE)



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